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La prigione dorata degli Hikikomori

Benessere e solitudine. Vicinanza e lontananza. Scomparsa ed esistenza. Queste alcune delle parole che ci servono per comprendere cosa accade nella mente degli Hikikomori, gli invisibili che abitano la nostra società.



Scomparire.

Riflettere sul significato di questa parola è davvero molto interessante, soprattutto per chi si occupa del funzionamento della mente umana. Lo è perché va ad indicare qualcuno che si sottrae alla vista, che non si rende più reperibile che svanisce e diventa introvabile per propria o altrui volontà. Anche se la causa cambia e varia da situazione a situazione, il risultato è sempre lo stesso. Un individuo prima esisteva e poi all’improvviso non esiste più, o meglio non lo si trova più. Molte sono le persone che ogni anno scompaiono, che entrano a far parte della nutrita coltre degli invisibili e li vi rimangono per giorni, settimane, anni o nella peggiore delle narrazioni, per sempre.

Secondo i dati diffusi dall’Ufficio del Commissario del Governo per le persone scomparse, nei primi mesi del 2023 sono stati denunciati oltre 6000 casi. Un numero davvero importante che indica persone che non si trovano, disperse da qualche parte nel mondo. Alcune torneranno visibili, altre resteranno nell’invisibilità del silenzio e della perdita della loro identità. Ma se queste brevi riflessioni riportano alla mente il significato che tutti conosciamo del termine scomparire, ben altra cosa è considerarlo sotto un’ottica completamente diversa.


Scomparire inteso come esserci ed esistere.


È qui che si rimane attoniti su come sia possibile avvicinare due parole con significati così diversi e trovare qualcosa in comune. Le parole hanno un significato ben preciso e un accostamento di questo tipo può interessare l’estro di uno scrittore, di un giornalista o di chi ha desiderio di giocare con le parole.

Eppure in questo caso non si tratta di un gioco, ma di un accostamento serio e di profondo significato.

Esistono infatti persone che decidono di scomparire anche se restano nelle loro case, legati ai familiari, amici, abitudini e mantengono un labile contatto con il mondo che è là fuori, lontano per loro, seppur vicino per gli altri.


Si chiamano HIKIKOMORI, giovani o adulti che non escono di casa, rintanandosi nelle loro stanze, preferendo alla socialità il ritiro sociale. Lo stesso termine nato in Giappone a partire dagli anni’80, significa ritirarsi, stare in solitudine, preferire la distanza alla vicinanza.

Da allora, sono passati diversi anni ed il tempo ha insegnato che siamo di fronte ad un fenomeno molto complesso, dai confini labili e difficili da tracciare. Chi si è occupato dei Hikikomori si è reso conto che riguarda soprattutto le civiltà industrializzate e benestanti, dove tutto è a disposizione di chiunque. Basta prenderlo. Eppure non è per tutti così. Allora diventa essenziale chiedersi per quale motivo delle persone decidono volontariamente di isolarsi? Perché preferiscono stare da soli, piuttosto che godere dei privilegi di una società avanzata e stimolante come quella odierna? La risposta va ricercata nello stato di salute della società in cui ciascuno di noi vive. Infatti, non è corretto parlare solamente dello stato di salute del singolo, ma diventa ancor più interessante collocarlo all’interno della realtà  e comprendere come e se la società, è in grado di generare le condizioni per far star bene chi la abita quotidianamente.


La società contemporanea e industrializzata offre tantissimi stimoli, opportunità e possibilità.

È improntata sulla velocità, la performance, lo stare al passo senza mai sottrarsi, il mostrarsi perfetti e in grado di tener testa a tutte le situazioni. La persona, fin dai tempi della scuola, ha un’agenda ricca di impegni, sport, attività extrascolastiche che farebbero impallidire qualunque giornata vissuta da un bambino di 50 anni fa. La noia è diventata una parola bandita. Da cancellare dal vocabolario. Bisogna essere sempre attivi, impegnati, colmare il vuoto con il movimento, gli impegni e le nozioni che riempiono quello spazio, intasandolo, senza lasciar riposare, sedimentare la mente e il corpo.

Questa è la descrizione di una società in cui il soggetto non deve fare fatica per soddisfare i bisogni primari e di sicurezza, perché ha tutto ciò che gli serve a disposizione, senza dover “lottare” per ottenerlo.

Pertanto, la famosa piramide di Maslow, assume un significato completamente diverso. Il soggetto oggi, è completamente proiettato verso il vertice della piramide, rappresentato dal desiderio di autorealizzazione.

Tutte le energie vengono dissolte per ottenere una posizione riconosciuta a livello sociale e di autorealizzazione completa.


Il risultato? Adolescenti, uomini e donne che si muovono velocemente, fagocitando tutto ciò che li circonda, senza pensare alla direzione che stanno prendendo. Dare e ancora dare, imparare, formarsi e costruire competenze per essere in grado di entrare nell’università più prestigiosa e ottenere quel posto di lavoro tanto ambito. Se per molti individui questo percorso è lineare e non procura alcun problema, per altri è alla base di ansia, di difficoltà di sentirsi all’altezza, di paura di non farcela.

Ed ecco la parola che ci aiuta a capire cosa succede nella testa di un Hikikomori. La paura, l’emozione primaria profonda e presente fin dalle origini, che ha permesso all’uomo di sopravvivere all’estinzione ma che è fonte di turbamenti se si scatena e non si hanno gli strumenti per gestirla. Nella mente di queste persone, la paura di non essere all’altezza, di essere giudicati per le loro fragilità e debolezze è così forte da non essere controllata.

È  lei che prende il sopravvento e che genera un malessere sociale da cui si deve scappare, da cui ci si deve difendere per non essere annientati. Ed ecco allora che si decide volontariamente di allontanarsi dalla fonte che causa dolore, criticandola, condannandola per trovare un giusto motivo per girarle le spalle.

Ecco cosa prova un individuo prima ancora di diventare un Hikikomori. Vuole scappare, nascondere la sua incapacità di adattarsi a una società così performante, nella quale non trova posto e non si sente accettato.

All’inizio il soggetto vive ancora la sua socialità, prova a ribellarsi a quel qualcosa che si trova nella sua mente, in netto contrasto con tutto ciò che dovrebbe fare. Mantiene le relazioni con gli altri, ma la fatica di stare nel mondo continua ad alzare la sua voce per farsi ascoltare. Frequenta la scuola, il lavoro ma in modo sempre meno costante inventando scuse di qualsiasi genere. Le attività extrascolastiche vengono abbandonate perché non sono obbligatorie e si inizia a invertire il ritmo sono-veglia.


È  più facile restare svegli di notte quando tutti dormono, giocare ai videogame o guardare la Tv fino all’alba, fino al momento in cui si deve dormire, per non sentire il doloroso rumore che provoca la vita degli altri.

La pulsione dell’isolamento a questo punto diventa conscia ed è sempre più forte. Il soggetto abbandona definitivamente la scuola e il lavoro, dedicandosi alle relazioni virtuali. Il rapporto con i genitori e parenti viene mantenuto anche se in modo conflittuale.

Internet è lo strumento che permette all’Hikikomori di mantenere le relazioni con il mondo. Pertanto queste persone non scompaiono definitivamente, ma continuano a cercare contatti, seppur a distanza.

A volte però, il soggetto cade in un baratro così profondo e cupo che perde qualsiasi desiderio e volontà di vivere e la depressione inizia a consumare quei pochi margini di vita ancora presenti. In questo caso, la persona è spesso sopraffatta dalla situazione e incontra sul suo cammino problematiche psicopatologiche, atti di autolesionismo e pensieri suicidi.  Si tratta però di progettazioni che per la maggior parte dei casi restano in forma ideale. Il soggetto ha una percezione del tempo e della realtà alterati e il senso di frustrazione è così alto che non sono rari episodi di aggressività diretta. Questa situazione resta immutata per mesi o addirittura anni e il nascondersi e rifugiarsi è fonte di distensione ma allo stesso tempo di condanna. Una continua lotta tra il desiderio di scomparire definitivamente e quello di tornare visibile.

Ed è in questo ciclo vizioso che resta invischiato l’Hikikomori. Scomparire ed essere visibile, un contrasto che vive indissolubilmente nella sua mente.

Stando all’Associazione Italiana Hikikomori, che si occupa in modo approfondito dell’argomento, sarebbero circa 100 mila gli Hikikomori nel territorio italiano.

Bisogna però fare molta attenzione perché negli anni si è fatta molta informazione forviante e lacunosa, scambiando l’Hikikomori con altre patologie o creando disinformazione cha ha impedito a coloro che si trovano in questa situazione di identificarsi e comprendere come adottare le giuste strategie di intervento.

Uno degli errori più clamorosi è quello di confondere l’Internet Addiction con l’Hikikomori.

Il focus riportato di seguito, aiuta proprio a sfatare questa considerazione errata.


Ma è possibile tracciare l’identikit di un Hikikomori?


Partendo dal presupposto che chiunque può essere un Hikikomori, è comunque possibile identificare delle variabili che ricorrono più frequentemente di altre. Un’interessante analisi delle caratteristiche degli Hikikomori proviene da Tamaki Saitò, uno psichiatra giapponese che a partire dagli anni ’90, iniziò ad analizzare il fenomeno che si stava presentando nella popolazione giapponese e provò a tracciare alcune caratteristiche comuni. Queste linee generali sono ancora utilizzate per delineare l’identikit degli Hikikomori e risultano utili anche per applicarle al contesto italiano.

La maggior parte degli Hikikomori sono maschi. I dati raccolti fino ad ora, hanno messo in evidenza le differenze dovute ai ruoli di genere nel percepire le norme comportamentali, le credenze, le aspettative che vengono attribuite a maschi e femmine. Nonostante le lotte per ottenere la parità di genere, ci si trova ancora di fronte a pressioni sociali che vogliono vedere nell’uomo una maggior realizzazione, mentre per la donna il legame con il mondo materno è ancora molto presente.

Questo aspetto però è destinato a ridursi negli anni, grazie al miglioramento sociale che sta investendo il ruolo della donna all’interno della società.

Altro aspetto riguarda i figli primogeniti i quali vengono considerati maggiormente a rischio perché su di essi vengono proiettate le maggiori pressioni sociali e aspettative da parte dei genitori. Un dato interessante e che fortifica questa valutazione è dato dalla riduzione delle nascite che si è verificata in Italia e che ha coinciso con un aumento degli Hikikomori.

Siamo il Paese che ha un numero di figli unici tra i più alti d’Europa. Su questi ragazzi e ragazze vengono riposte molte aspettative e i genitori investono risorse economiche importanti per il loro percorso scolastico, generando responsabilità a volte difficili da sostenere.

I periodi maggiormente a rischio per sprofondare nell’isolamento sociale sono due. La fascia d’età che va dalla fine delle medie alle superiori (15 – 19 anni), periodo nel quale si vive un drastico cambio dell’ambiente in un momento di crescita caratterizzato da forte instabilità emotiva. Sono questi gli anni in cui gli adolescenti si confrontano maggiormente con i pari e per chi ha scarse dote relazionali, la frustrazione inizia a tracciare il suo solco interiore.

Il secondo periodo della vita in cui si è maggiormente esposti è quello post diploma (20 – 29 anni), quando si decide se andare all’università o inserirsi nel mondo del lavoro.

È questo il momento di iniziare a delineare il proprio futuro e trovare la motivazione giusta per agire. La confusione sulla strada da intraprendere che regna nella mente di questi soggetti, si trasforma in paura e apatia, oppure nell’allargarsi di una pulsione all’isolamento sociale.

A prescindere però dall’età ciò che va evidenziato è che l’Hikikomori se non viene adeguatamente supportata e affrontata, non è una fase transitoria dell’esistenza, ma si cronicizza e può durare negli anni diventando difficilmente reversibile.


Da un punto di vista cognitivo gli Hikikomori sono soggetti spesso dotati, con spiccata natura critica, riflessivi e introspettivi. Non di rado è presente una componente narcisistica che si manifesta nel rimuginare su potenziali esiti negativi delle proprie azioni soprattutto in ambito relazionale e nutrono una paura enorme nei confronti del pensiero altrui. La negatività del soggetto si proietta e generalizza nel micro contesto della famiglia, scuola, coetanei e in quello macro delle relazioni sociali e della società nel suo complesso. Tutti questi aspetti, permettono di comprendere come sia l’identikit dell’Hikikomori e fanno intuire cosa voglia significare vivere con una persona che soffre di questa forma di isolamento sociale.

Pertanto diventa davvero prezioso il lavoro che in questi anni viene svolto dall’Associazione Italiana Hikikomori che si impegna a far conoscere questo fenomeno, accogliendo le famiglie e realizzando progetti di prevenzione. In quest’ottica di aiuto e divulgazione sul territorio italiano è stato realizzato un questionario per iniziare a raccogliere dati statistici, così da comprenderlo maggiormente. Di seguito è riportato un breve approfondimento di quanto è emerso dopo la somministrazione del questionario.

Vivere un isolamento sociale e riconoscersi come un Hikikomori o riconoscere qualcuno in tale situazione non vuol dire soccombere e arrendersi, ma significa prendere consapevolezza e iniziare a intraprendere un percorso di psicoterapia, grazie al quale è possibile riprendere in mano le redini della propria vita.

Solo così si torna ad esistere.

Esistere nel significato pieno della parola. Stare ed essere con gli altri, stare e vivere nel mondo, sentendolo come un luogo vicino e di costruzione del proprio benessere fisico e mentale.


APPROFONDIMENTO











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